Supply Chain e criteri ESG: 3 domande per ripartire a settembre

Ogni pausa contiene un’opportunità.

Agosto è il momento in cui la frenesia produttiva rallenta e le imprese possono osservare la propria filiera con maggiore lucidità. È l’occasione per chiedersi se le scelte fatte finora siano davvero sostenibili e se la supply chain sia pronta a rispondere alle sfide ESG che attendono da settembre in poi.

Guardare la filiera con questa prospettiva non significa ricominciare da zero, ma ripartire con consapevolezza, intrecciando obiettivi operativi e criteri ambientali, sociali e di governance in un unico percorso strategico.

Il tempo dell’intervallo (utile) 

Ci sono momenti dell’anno che non servono a fare, ma a rivedere. Agosto è uno di questi. 


In un’Italia industriale e produttiva che si concede un passo più lento, agosto offre — per chi sa coglierlo — uno spazio silenzioso di riorientamento. Un tempo utile non per agire, ma per osservare meglio le connessioni tra ciò che si è fatto finora e ciò che, in modo forse inevitabile, sarà necessario fare da settembre in avanti. 

In questo intervallo strategico, un tema merita particolare attenzione: la relazione fra supply chain e strategie ESG. È lì che oggi si gioca parte della solidità futura di un’impresa. 

Rete logistica vista dall’alto con focus ESG
Rete logistica vista dall’alto

La fine dell’illusione: filiera ed ESG non sono più ambiti separati 

Per anni, sostenibilità e catena di fornitura sono state trattate come dimensioni parallele, affidate a unità distinte e valutate con metriche differenti. Questa impostazione non è più sostenibile. 


Oggi, ogni singolo anello della filiera può rappresentare un’opportunità di posizionamento o un rischio reputazionale. Le nuove direttive europee — dalla Corporate Sustainability Due Diligence alla CSRD — non lasciano margini interpretativi: la gestione della supply chain è uno snodo centrale della strategia ESG

Ma prima ancora di norme e metriche, a cambiare è stato il contesto: instabile, interconnesso, e sempre più attento alle conseguenze indirette delle scelte aziendali. In questo scenario, fermarsi un momento per formulare le domande giuste può valere più di qualunque attività febbrile. 

Conosciamo davvero i nostri fornitori? 

Non si tratta di compilare un elenco, né di chiedere un’autodichiarazione una tantum. 


Conoscere la propria filiera significa disporre di informazioni strutturate, verificabili e aggiornate sull’operato dei fornitori — non solo di primo livello — in relazione a: 

  • impatti ambientali diretti e indiretti; 
  • condizioni di lavoro e diritti umani; 
  • rischi legati alla provenienza geografica; 
  • aderenza a standard internazionali e politiche interne.

In altri termini: quanto è trasparente la filiera che abbiamo costruito negli anni? 


E se oggi qualcuno ci chiedesse conto — un’autorità, un cliente strategico, o il mercato stesso — saremmo in grado di rispondere in modo completo, documentato, coerente? 

Le imprese che sanno rispondere sì, anche solo in parte, sono già in posizione di vantaggio. 

La nostra supply chain è pensata per durare o solo per performare? 

C’è una differenza sostanziale tra catena efficiente e catena resiliente


Per anni si è premiata l’ottimizzazione spinta: just-in-time, riduzione dei costi, standardizzazione. 
Ma in un mondo dove i colli di bottiglia si manifestano senza preavviso — dalle guerre commerciali ai disastri climatici — l’efficienza da sola non basta più. 

La domanda, oggi, è più complessa: la nostra filiera è in grado di reggere l’urto? 


Significa interrogarsi su: 

  • grado di concentrazione geografica e rischio Paese; 
  • dipendenza da fornitori unici o non sostituibili; 
  • esistenza (o meno) di piani di continuità operativa; 
  • capacità di adattamento rispetto a nuove richieste normative o di mercato.

Una filiera resiliente non è una spesa in più: è un presidio di sopravvivenza competitiva
Ed è un vantaggio che si costruisce nel tempo, iniziando da decisioni consapevoli anche in contesti apparentemente ordinari. 

La sostenibilità è una narrativa o un criterio operativo? 

Le aziende più mature dal punto di vista ESG condividono un tratto distintivo: 
la sostenibilità non è uno storytelling da retrocopertina, ma una dimensione gestionale che orienta le scelte. 

Nel contesto della supply chain, questo si traduce in: 

  • criteri ESG nei bandi e nei contratti di fornitura; 
  • piani di formazione interna e condivisione lungo la filiera; 
  • indicatori di monitoraggio concreti e verificabili; 
  • integrazione dei dati ESG nei processi decisionali, non solo nei report.

È su questo piano che la sostenibilità smette di essere un dovere e diventa un fattore strategico
Ed è solo così che produce effetti concreti: ambientali, reputazionali, operativi. 

La pausa come leva strategica 

Prendersi qualche giorno per riflettere su queste tre domande non è tempo perso: è un investimento. 
A settembre, si riparte tutti. Ma non tutti ripartono dallo stesso punto

Chi ha usato agosto per fare spazio alle domande (invece che riempirlo di urgenze residue) arriva alla ripartenza con una direzione più chiara, e meno vincolata all’inerzia del passato. 

La filiera non è un automatismo da amministrare. È una rete vivente di relazioni, impatti, possibilità
E come ogni rete, può essere ripensata, rinforzata, trasformata. 

Settembre arriva sempre. La differenza la fa ciò che abbiamo deciso  silenziosamente ad agosto. 

Verso una supply chain integrata e consapevole 

Il nostro lavoro consiste nell’accompagnare le aziende in questo percorso. 

Supportiamo imprese e gruppi industriali nella valutazione ESG della filiera, nell’analisi dei rischi di sostenibilità, nella definizione di criteri operativi coerenti, anche in ottica CSRD e CSDDD

Se desideri capire da dove iniziare, o come consolidare quanto già avviato, siamo a disposizione.

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